Crisi coniugale e trasferimenti immobiliari nella pronuncia delle sezioni unite della corte di cassazione n. 21761/2021

Crisi coniugale e trasferimenti immobiliari nella pronuncia delle sezioni unite della corte di cassazione n. 21761/2021

In occasione della separazione personale o del divorzio, i coniugi possono disporre dei loro reciproci rapporti patrimoniali anche mediante atti di trasferimento della proprietà immobiliare in favore dei figli, con la precipua finalità di favorire la risoluzione della crisi coniugale.

Come noto, le modalità formali del trasferimento hanno rappresentato una questione da tempo dibattuta sia in dottrina che in giurisprudenza[1].

Il tema della discussione ha riguardato la possibilità che la sentenza pronunciata nell’ambito della separazione o del divorzio su ricorso congiunto delle parti, possa adottare e attuare la volontà delle parti di trasferire un bene immobile oppure limitarsi a recepire il mero impegno delle parti di addivenire al trasferimento vero e proprio con successivo atto ricevuto dal notaio rogante.

La ragione di fondo della diversa soluzione dipendeva dalla ritenuta necessità di un controllo sulla validità formale dell’atto da parte del notaio successivo alla omologa dell’accordo giudiziale dei coniugi oppure dalla possibilità che un controllo sulla regolarità degli atti formali del trasferimento potesse essere demandata ad un ausiliario del giudice.

Il contrasto giurisprudenziale non è apparso risolubile anche per la presenza di alcune norme suscettibili di interpretazioni discordanti, in particolare con riferimento alla disposizione di cui all’art. 19, comma 4, del DL 78 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122.

Detta norma prevede, a pena di nullità, che l’atto di trasferimento adempia ad una serie di ineludibili indicazioni quali l’identificazione catastale dell’immobile, le planimetrie ufficiali depositate negli uffici della conservatoria competente, la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dell’immobile ai dati catastali e alle relative planimetrie.

L’art. 5 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, dispone inoltre che l’accordo che compone la controversia tra i coniugi sia sottoscritto dalle parti e dai rispettivi legali, i quali certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Il comma 3 dell’art. 5 stabilisce altresì che quando le parti con l’accordo di separazione o con il divorzio congiunto concludono un contratto oppure compiono un atto per il quale la legge prevede l’obbligo di trascrizione, detto accordo deve essere oggetto di autentica da parte di un pubblico ufficiale autorizzato.

Le contrastanti posizioni giurisprudenziali hanno pertanto assunto nel tempo una costante e radicale distanza interpretativa. Da un lato, si è privilegiata la tesi secondo cui l’unico soggetto legittimato a compiere le descritte verifiche catastali, garantendo la tutela degli interessi pubblici sottesi al controllo, fosse il notaio. La dottrina ha rimarcato al riguardo che in sede di separazione consensuale o di divorzio, gli accordi tra i coniugi e la relativa verifica giudiziale deve limitarsi alle sole questioni che attengono all’affidamento dei figli minori ed al loro mantenimento; all’esercizio della responsabilità genitoriale; all’assegnazione della casa coniugale; all’eventuale mantenimento del coniuge e a tutte le altre condizioni economiche che attengono alla corretta ed equilibrata regolamentazione dei rapporti tra i coniugi nell’interesse dei figli.

La complessità della materia, secondo l’orientamento dottrinario citato, rendeva incompatibile e comunque ulteriormente gravoso il procedimento separativo o di divorzio con il compito da parte dell’ufficio del giudice di provvedere anche ad un contestuale trasferimento immobiliare previsto dall’accordo dei coniugi.

Per altro verso, la tesi contraria, divenuta maggioritaria, ha sostenuto che demandare il trasferimento immobiliare ad un accertamento successivo fosse contrario al principio di autonomia di cui i coniugi hanno il diritto di disporre nella definizione delle condizioni economiche e patrimoniali della crisi coniugale. Detto principio trova il suo cardine negli artt. 1322 e 1376 c.c. e risulta ribadito anche dalla giurisprudenza più recente[2].

Secondo tale orientamento è fondamentale il carattere di “negoziazione globale” che la coppia in crisi attribuisce all’accordo di “liquidazione” dei rapporti economici correlati al matrimonio. Nell’ambito di tale potere dispositivo delle parti, i coniugi hanno il diritto di provocare la costituzione, regolamentazione ed estinzione di ogni posizione patrimoniale ed economica che la convivenza coniugale ha nel tempo generato, senza necessità di un intervento del notaio rogante che attuasse il trasferimento di eventuali beni immobili, attesa la possibilità sostitutiva in funzione certificante da parte del cancelliere del tribunale competente[3].

Secondo un orientamento intermedio, in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto è valido in astratto un accordo immediatamente traslativo di beni immobili, salvo suggerire, alla luce di un mero obbligo di trasferire previsto nell’atto congiunto dei coniugi, l’utilità di un successivo atto notarile.

Prima dell’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione il panorama giurisprudenziale, come si è visto, ha assunto posizioni non conciliabili, meritando, invero, di essere ricondotto all’interno di una linea unitaria.

Nel frattempo, il trasferimento immobiliare doveva assumere un ruolo funzionale e dirimente la crisi coniugale e, in nessun caso, avrebbe potuto avere una funzione sostitutiva degli obblighi di mantenimento in favore dei figli. Era infine necessario produrre agli atti del procedimento i dati identificativi e planimetrici conformi dell’immobile, mentre la conclusione dell’atto traslativo era delegata al successivo intervento di un notaio.

L’ordinanza del 10 febbraio 2020 n. 3098/2020 della Sezione Prima della Corte di Cassazione ha rimesso i motivi del contrasto giurisprudenziale alle Sezioni Unite, che con sentenza n. 21761 del 29 luglio 2021, hanno stabilito il diritto dei coniugi di disporre, nella separazione personale consensuale o nel divorzio congiunto, il trasferimento di beni immobili da un coniuge all’altro ovvero in favore dei figli senza la necessità di un successivo adempimento notarile.

Il fondamento della decisione è rappresentato dall’art. 29, comma 1 bis della legge n. 52 del 1985. Detta norma è applicabile a tutti i trasferimenti immobiliari previsti dalle parti dalla domanda congiunta di separazione o divorzio. L’ipotesi di un intervento obbligatorio del notaio, ove giuridicamente sostenibile, avrebbe dovuto comportare una espressa deroga all’art. 1350 c.c. invece assente, con l’ulteriore conclusione che devono considerarsi valide e lecite anche le scritture private, che prevedono trasferimenti immobiliari o la costituzione di un diritto reale.

L’accordo dei coniugi, traslativo di un bene immobile, può dunque essere inserito nel verbale di udienza e, in tal modo, l’omologa della separazione o la sentenza di divorzio è un valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. Sarà compito del cancelliere infine attestare che le parti hanno prodotto gli atti e le dichiarazioni catastali necessarie al trasferimento, non essendo più necessario alcun adempimento ulteriore o successivo del notaio.

Il nuovo orientamento della Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha definitivamente valorizzato le intese e gli accordi dei coniugi in quanto espressione della loro autonomia negoziale e contrattuale, con la conseguenza che il verbale redatto dal cancelliere all’udienza di comparizione delle parti determina il trasferimento immobiliare voluto dai coniugi con emblema di atto pubblico dotato di fede privilegiata fino a querela di falso.

Le clausole del divorzio congiunto o della domanda di separazione consensuale, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili e immobili, o di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, anche al fine di assicurare loro il mantenimento, sono pienamente valide.

I trasferimenti patrimoniali a favore dei figli sono ammessi senza necessità di intervento notarile, essendo sufficiente che l’accordo dei coniugi sia contenuto nel verbale di separazione omologato dal giudice. Ne consegue, peraltro, che non si pone il problema della previsione di tasse e/o imposte per i tali trasferimenti immobiliari, poiché nessun altro adempimento è necessario al di fuori dell’accordo reso in sede di separazione e divorzio. Come è noto, peraltro, la giurisprudenza ha avuto più volte occasione di ribadire l’esenzione fiscale di tutti i trasferimenti aventi ad oggetto diritti reali, come ogni altro atto relativo alla separazione e al divorzio ai sensi dell’art. 19 legge n. 74 del 1987.

La sentenza delle Sezioni Unite segna un passo ulteriore e decisivo verso la “privatizzazione” dei rapporti coniugali con la conseguente affermazione del principio secondo cui la disciplina dei rapporti coniugali non è più retaggio di una visione pubblicistica ed inderogabile di tali rapporti, essendo definitivamente affidati, con alcune limitazioni riguardati gli obblighi verso la prole, alle libere determinazioni negoziali dei coniugi.

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