Il perdono dell’infedeltà coniugale non comporta necessariamente la decadenza dal diritto di richiedere successivamente l’addebito della separazione.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 25966/22 affronta un tema delicato che riguarda le relazioni extraconiugali e la legittimità della domanda di addebito in sede di separazione personale dei coniugi.
Come noto, perché il tradimento costituisca ragione di addebito è necessario che sia causa della crisi della coppia e intervenga in un momento estraneo alla fase critica coniugale, provocando la rottura del sodalizio (Cassazione civile sez. VI – 28.11.2022, n. 34944).
La parte che chiede l’addebito della separazione è onerata della prova del nesso causale tra l’infedeltà coniugale e la disgregazione dell’unione matrimoniale. Sarà invece onere di chi eccepisce l’irrilevanza dei fatti posti a fondamento della domanda di addebito provare la validità delle proprie eccezioni, vale a dire, l’anteriorità della crisi matrimoniale rispetto al comportamento infedele.
È ormai pacifico, che quando l’infedeltà coniugale si verifica in un momento in cui la crisi della coppia è già in atto, essa non costituisce motivo fondato della domanda di addebito, risultando di fatto irrilevante in quanto è assente il nesso eziologico rispetto alle reali cause preesistenti il fallimento coniugale.
Il tradimento è tuttavia una grave violazione di un dovere coniugale, previsto espressamente dall’art. 143 c.c. e, in quanto tale, impone una analisi approfondita delle circostanze concrete in cui è maturata l’infedeltà con le inevitabili conseguenze sulla vita della coppia in contrasto con i doveri coniugali.
La Corte di Cassazione, con la recente citata sentenza, ha infatti ribadito che la valutazione del giudice dovrà considerare la violazione in concreto dei generali doveri di rispetto della persona del coniuge, aldilà di ogni possibile presunzione o valutazione astratta.
Il richiamo della sentenza a tali inderogabili doveri è di estrema importanza, in quanto nel valutare la condotta infedele è rilevante il contesto anche rappresentativo ed esteriore in cui è maturata la condotta del coniuge.
Un comportamento scorretto rispetto le regole etico-sociali previste in un determinato ambiente può essere di fatto parificato a vera e propria infedeltà anche se non vi sia prova della consumazione, in quanto offensivo della dignità e dell’onore della persona dell’altro coniuge (Cass. 14 maggio 2022, n. 16822; Cass. 17 marzo 2022, n. 8750; Cass. 12 aprile 2013, n. 3929).
L’aspetto particolare della questione giurisprudenziale affrontata dalla sentenza n. 25966/22 attiene alla necessaria valutazione dell’intero rapporto coniugale e delle sue vicende, al fine di ammettere o meno la richiesta di addebito della separazione in presenza di un tradimento.
L’atteggiamento tollerante, tenuto da un coniuge nei confronti di una pregressa relazione adulterina dell’altro, non può ritenersi sufficiente di per sé a giustificare il rigetto della domanda di addebito della separazione poiché occorre prendere in esame la successiva evoluzione del rapporto coniugale, ed in particolare accertare se vi siano successive violazioni del dovere di fedeltà e quale sia stata la reazione della parte interessata, in caso di nuovi e ulteriori tradimenti.
La tolleranza manifestata da un coniuge rispetto alla violazione di un dovere coniugale non può escludere infatti che questi “perda la pazienza” e manifesti il proprio dissenso rispetto a successive violazioni, a maggiore ragione laddove siano numerose e ripetute.
Molti tribunali hanno affermato che l’infedeltà coniugale rappresenta un vulnus particolarmente grave nella vita di coppia, di regola sufficiente a giustificare l’addebito della separazione, salvo che dall’istruttoria risulti che essa, rispetto ad altre circostanze considerate, non abbia avuto valore di causa efficiente del fallimento coniugale.
È evidente che la tolleranza manifestata dal coniuge nei confronti di una pregressa relazione extraconiugale non si estende ad altre eventuali relazioni extraconiugali successive.
La Cassazione osserva che “soltanto ove fosse risultato che a seguito della cessazione della predetta relazione la vita coniugale era ripresa regolarmente senza ulteriori violazioni del dovere di fedeltà, oppure che la donna aveva intrapreso altre relazioni extraconiugali senza che l’uomo vi desse importanza, si sarebbe potuto concludere che non erano state le predette infedeltà ad impedire la prosecuzione della convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno l’affectio coniugalis”.
D’altra parte, anche il perdono ha un limite e il rispetto dei diritti fondamentali della persona quali l’onore, la dignità, l’immagine e la reputazione non possono subire una totale compromissione anche rispetto ad una presunta tolleranza.
La “tolleranza” del coniuge deve peraltro essere indagata in concreto alla luce di una pluralità di motivi che possono giustificarla, senza per questo, a maggiore ragione, negare il diritto alla domanda di addebito della futura separazione.
Il coniuge che viene a conoscenza del tradimento può infatti adottare una fase più o meno lunga di “tolleranza” a tutela di situazioni e condizioni che in un dato contesto meritano considerazione. In molti casi, ad esempio, un genitore nell’interesse dei figli molto piccoli, pur lacerato dalla scoperta dell’infedeltà, può addivenire alla decisione di adottare una temporanea fase di tregua nell’interesse di una sostenibile gestione dell’assetto familiare per il bisogno e la necessità contingente dei figli.
È evidente che tale “tregua necessaria” non è che una tolleranza giustificata da una esigenza di tutela che in particolari circostanze può assumere una dimensione temporaneamente prioritaria.
Nell’ottica di una successiva valutazione complessiva della storia coniugale, considerata l’importanza dell’onere probatorio, è conveniente che il coniuge che ha subito il tradimento adotti soluzioni di “salvaguardia” dei propri diritti, ad esempio redigendo, anche con l’ausilio di un avvocato, una dichiarazione di data certa, che descrive e documenta, da un lato, i fatti e le circostanze in cui è maturato il tradimento e, dall’altro, le ragioni personali e familiari che in quel dato momento hanno giustificato la propria decisione, soprassedendo ad una immediata reazione con la domanda di separazione e contestuale addebito.
In conclusione, non ogni forma di “tolleranza” comporta la decadenza dal diritto all’addebito della separazione a carico del coniuge infedele; a riprova della complessità in cui ogni singola vicenda personale e coniugale si sviluppa, ciascuna caratterizzata da un proprio percorso da indagare e considerare anche in ogni apparente dettaglio.
Avv. Giovanni Reho – Avv. Laura Summo
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